STUDENTI E DaD: COME LA DIDATTICA A DISTANZA INFLUISCE SU PSICOLOGIA E COMPORTAMENTO.
Penultimo appuntamento con la didattica al tempo dell’emergenza: esploriamo alcuni effetti psicologici e comportamentali
L’Italia è il Paese che per primo in Europa, applica un lockdown a livello nazionale fermando il settore dell’istruzione e scontrandosi da subito, con la conseguente necessità di investire rapidamente in soluzioni di didattica ed apprendimento a distanza, per “rimediare” all’allontanamento di ragazzi e bambini dai banchi scolastici.
“All’inizio è stato un po’ come una vacanza…” questa è la risposta comune a molti giovani studenti quando viene chiesto loro di raccontare gli esordi dell’esperienza con la DaD.
Teniamo conto che si tratta di una generazione che adopera già nella normale quotidianità le tecnologie digitali ed internet, ma consideriamo anche come le chiusure e la didattica on line abbiano notevolmente aumentato il tempo (da due ore in pre-pandemia alle circa sette di oggi) di utilizzo di tali strumenti.
Così, pur potendo contare su una certa elasticità e spirito di adattamento propri della gioventù e pur avendo inizialmente vissuto con curiosità questo nuovo modo di fare scuola, switchando tra le piattaforme dedicate e WhatsApp (per commenti tra compagni che eludessero il controllo degli insegnanti) oggi, a più di un anno dall’introduzione sistematica del distance learning nelle scuole, dobbiamo fare i conti anche con le conseguenze riportate dagli studenti, ancora parzialmente ospitati all’interno di verosimili “classi” virtuali.
Il primo fattore da analizzare è proprio questo nuovo modello di spazio e conseguentemente, di tempo della scuola.
Entrare in classe, in un luogo che sia cioè separato dalla propria abitazione, crea un confine tra gli ambienti scenario della vita privata e quelli relativi ad insegnamento/apprendimento, abbinati ad attività didattica e formativa.
Questo agevola in noi una percezione dei momenti della giornata (quindi a livello di tempo) dedicati alle varie occupazioni.
Con la DaD, i confini suddetti sono messi in discussione: si creano un nuovo spazio ed un tempo della scuola che non sono più qualcosa di fisico e questo ha comportato da parte di molti alunni, l’estensione degli stessi all’intera giornata, con la richiesta di spiegazioni, chiarimenti, invio di mail e messaggi agli insegnanti, senza più tenere conto degli orari.
I momenti per la didattica, per il gioco, per le relazioni sociali, perfino per i pasti, si “mischiano” in un’unica giornata digitale che lascia così alla fine stanchi e disorientati.
Inoltre, la fruizione delle lezioni da luoghi non propriamente deputati all’apprendimento e spesso condivisi con altri membri della famiglia, rendono veramente difficile conservare la concentrazione.
A questo si aggiunge la considerazione che la didattica proposta in DaD, è spesso la risultanza di una trasposizione in un ambiente virtuale di ciò che era stato pensato per un’aula fisica, senza tenere conto del fatto che il tempo, in didattica a distanza, trascorre diversamente e che, inoltre, non è neanche più possibile contare su un linguaggio non verbale, da sempre importantissima fonte per lo sviluppo di empatia e per ottenere indicazioni su stati d’animo e livello di partecipazione.
Per questo motivo anche le diverse attività somministrate, richiedono una rielaborazione idonea a mantenere alta l’attenzione, agevolare nuove modalità di interazioni insegnanti/studenti, per evitare un atteggiamento meramente passivo da parte di questi ultimi, data la maggiore difficoltà in DaD a fissare le esperienze nella memoria autobiografica (col rischio di dimenticare molto in fretta ciò che si è ascoltato).
Ma le osservazioni più importanti sono oggi quelle orientate all’aspetto psicologico relativo ad una lunga (come si è rivelata) esposizione alla didattica a distanza, la quale sembrerebbe avere amplificato numerose condizioni diffuse ed allarmanti ancora prima del Covid, a livello della popolazione più giovane.
Già prima vivevamo in una società in cui la tecnologia correva veloce, trasportando sempre più l’interazione con gli altri in chat e social network e dove l’errata credenza che attribuisce elevate competenze a bambini e ragazzi nella gestione degli stessi, ha spesso procurato un calo di attenzione da parte di genitori e adulti in generale, nell’elargire il giusto supporto emotivo nonché il controllo necessario, lasciando spesso i giovani orfani di strumenti con cui orientarsi nel mondo che li circonda.
La scuola in questo senso rappresentava un luogo dove era ancora possibile mantenere rapporti in uno scenario fisico, dove anche grazie all’empatia sviluppata tra compagni ed insegnanti, era possibile far emergere eventuali disagi per poterne sostenere una rielaborazione positiva.
In Dad l’empatia, come già sottolineato in precedenza, è uno degli elementi che è più difficile da ritrovare: questo ha privato i ragazzi di una vera e propria “bussola emotiva” a loro disposizione, provocando col passare del tempo, senso di isolamento e stress, ansia e demotivazione.
Lo stesso presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi David Lazzari, diffondendo i dati dell’indagine del Centro Studi del Cnop, evidenzia, come risulta dagli stessi, che ciò che maggiormente manca agli studenti italiani, a causa dell’impossibilità di svolgere le lezioni in presenza, sono: “lo stare insieme ai compagni di classe (75%), la possibilità di studiare insieme (45%), la maggiore interazione durante le lezioni (38%), ed il confronto con gli insegnanti (31%)”.
Dalla medesima indagine emerge, inoltre, che i disturbi psicologici tra i più piccoli (quali irritabilità, sbalzi d’umore, difficoltà di concentrazione…) sono aumentati fino al 24%.
Sono dati che conducono a riflessioni profonde su quello che è il ruolo della didattica e sulla collaborazione, necessaria, tra tutti gli attori che ne fanno parte.
Lo stesso Lazzari, in fase di esposizione del suddetto report del centro Cnop presso le Commissioni Istruzione e Sanità del Senato, ha messo in luce diverse riflessioni: “dobbiamo considerare il sistema scuola in tutte le sue componenti – studenti, docenti, famiglie – come una delle principali risorse della società, dove oggi è necessario rispondere al disagio psicologico diffuso, ma andando oltre, aiutando la scuola a svolgere un ruolo fondamentale di educazione alla psiche, per dare competenze di vita”.
Medesime le preoccupazioni anche per quanto riguarda gli studenti più grandi.
Da uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista internazionale PLOS ONE su un gruppo di oltre 2.100 studenti che ha coinvolto sette università degli Stati Uniti, emergono considerazioni analoghe: ragazzi e ragazze hanno infatti evidenziato nei questionari somministrati, l’insorgere di disturbi quali senso di isolamento e stress, ansia e demotivazione (gli stessi già menzionati precedentemente).
Un quinto del target ha inoltre sottolineato la sopravvenuta incapacità di far fronte agli impegni presi nei tempi previsti nonché la sensazione di non essere più produttivo.
Gli autori dello studio, in base alle risposte fornite, hanno così concluso che quasi la metà del campione, presentava un ingente rischio di incorrere in ricadute psicologiche causate principalmente dalle numerose ore di esposizione allo schermo.
È chiaro a questo punto, che una DaD prolungata e forzata dalla pandemia, ha conseguenze importanti sullo stato di vulnerabilità dei ragazzi a cui bisognerà porre rimedio.
Vedremo nel prossimo ed ultimo appuntamento di questo “viaggio”, qual è il possibile futuro della didattica a distanza e quali gli equilibri tra essa e l’istruzione in presenza, che potremmo ritrovare nei prossimi anni.
Articolo di Monia Strazzeri.
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