La rivoluzione della previdenza complementare
Uno sguardo alla grande innovazione della previdenza complementare
Dopo uno sguardo generale al sistema previdenziale pubblico ed una compiuta presa di coscienza degli sforzi della politica, economica e sociale, ciclicamente tesi a fronteggiare le più annose questioni ad esso connesse, veniamo piuttosto alle buone notizie.
Il “segreto” è nascosto in un’altra formidabile possibilità di tutela, la previdenza complementare, offerta dal legislatore stesso a compimento di un più ampio disegno di welfare, che trova nella Costituzione il suo primigenio caposaldo.
Recita l’art. 38:” […] I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. […] Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato […]”.
Se da un lato, dunque, possiamo scorgere tra queste righe alcuni dei principi sacrosanti che sanciscono le fondamenta per uno stato sociale, vediamo affiorare, dall’altro, i presupposti per la messa a punto di un “piano B”: tramite il meccanismo della delega vediamo, infatti, il legislatore in azione, al fine di predisporre l’affidamento anche ad altri soggetti della soddisfazione dei bisogni più diffusi e (come tali) meritevoli di tutela. In caso di previdenza, sappiamo essere l’INPS, accanto alle Casse professionali, l’ente preposto dallo Stato all’erogazione dell’assegno pensionistico di base, ma a partire dagli anni ’90 (col decreto legislativo 124/1993) il legislatore, da buon padre di famiglia, comincia a guardare più lontano e a lavorare in parallelo, provvedendo a costruire un “secondo pilastro” che funga da sostegno al primo nell’ordinamento giuridico della previdenza obbligatoria.
Dopo il 1993 viene, dunque, istituita la previdenza complementare, con una riforma epocale che trasforma profondamente lo strumento, da benefit aziendale, fino a quel momento riservato ad alcune categorie di nicchia, come le banche e le assicurazioni, a forma di tutela sussidiaria, o appunto complementare, che si ponga l’obiettivo, ampio e ambizioso, di recuperare il gap di tutele pubbliche: cominciano, così, a proliferare una serie di regole che, oltre a strizzar l’occhio alla Costituzione, vanno anche ad informare capillarmente il sistema, non solo a scanso di ogni arbitrio, ma anche a dimostrazione del generale favor legis sul tema.
I fondi pensione diventano in tal modo uno strumento essenziale e fortemente strategico nel contesto di un più ampio disegno di welfare pubblico, tutto ciò grazie alla loro particolare veste di enti privati, ufficialmente incaricati dal legislatore stesso di una funzione sociale ad adjuvandum, per consentire a chiunque, in maniera libera e volontaria, di sopperire al divario prevedibile che si avrebbe nel tenore di vita, contando sulla sola basedel sistema pubblico di previdenza sociale.
Con l’istituzione della previdenza complementare cambia completamente il meccanismo di “alimentazione” del sistema e si passa da un ”sistema a ripartizione”, tipico della previdenza obbligatoria (la pensione di oggi è pagata dai contributi dei lavoratori ancora attivi), ad un “sistema a capitalizzazione”: per spiegarlo potremmo ricorrere alla vecchia metafora del materasso, solo che i soldi anziché immaginare di metterli lì, rischiando furti e muffe, si versano in un fondo pensione che, a differenza del materasso, non solo li custodisce , ma li investe e li fa fruttare, risparmiando al lavoratore l’onere della custodia per poi renderglieli un domani con l’aggiunta di un rendimento.
In altri termini, succede che il lavoratore anziché pagare oggi coi suoi contributi la pensione di un altro ex lavoratore, ha la possibilità di accantonare i suoi stessi risparmi, cui poi avrà tipicamente accesso nel momento fatidico della sua personale pensione. Questo non esime naturalmente il lavoratore dal versamento dei contributi al sistema obbligatorio, ma in aggiunta a questo, si dà allo stesso la possibilità di premiare la sua ulteriore “previdenza” tramite l’accantonamento – ribadiamo del tutto libero e volontario – di un risparmio aggiuntivo, che andrebbe a colmare proprio il deficit nel cd. “tasso di sostituzione”, ovvero il divario tra l’importo della sua futura pensione e l’ultimo stipendio percepito.
Il legislatore, d’altronde, è ben lieto di accogliere e accompagnare iniziative di questo genere, favorendole non solo, come abbiamo visto, tramite una fitta produzione di regole, a garanzia della più ampia accessibilità e trasparenza per tutti, a discapito di eventuali derive interpretative, ma anche e soprattutto con straordinari benefici fiscali su cui, però, vale fortemente la pena di soffermarsi con un approfondimento ad hoc.
Articolo di Ornella Fortino, esperta in previdenza complementare.
Fonte immagine: Disegno di Cristina Rubino